Nuove evidenze confermano che, grazie a tecniche sempre più sofisticate, nessun danno viene arrecato e le possibilità di impianto restano invariate.
Diagnosi preimpianto sull’embrione per conoscere il suo stato di salute e migliorare i risultati di un ciclo di fecondazione assistita. Un tema su cui da diversi anni gli scienziati impegnati nella ricerca in medicina della riproduzione si confrontano.
Nel 2012 un importante studio americano aveva messo in evidenza come procedere con la biopsia necessaria per la diagnosi pre-impianto al terzo giorno di sviluppo dell’embrione poteva ridurre le chance di impianto, mentre ‘attendere’ il quinto giorno, quindi il momento in cui l’embrione raggiunge lo stadio di blastocisti, riduceva moltissimi i rischi. Lo stesso gruppo di ricercatori, nello stesso anno, ha proseguito a indagare: questa volta la domanda a cui hanno voluto rispondere è se la diagnosi pre-impianto effettuata utilizzando la tecnica Snp Array, a volte possa indicare come non idoneo un embrione che, invece, ha dato luogo a una gravidanza. I dati hanno confermato che il successo nel predire l’impianto è pari al 50% e che in solo il 3-4% dei casi l’embrione indicato come non idoneo, era invece idoneo. La biopsia ha dunque un valore predittivo solido e affidabile.
Questo mese, sulla rivista ‘ Fertility and Sterility’ appare un upgrade di questo lungo lavoro, con l’impiego della tecnica Ngs, quella utilizzata nei laboratori all’avanguardia: il miglioramento delle tecnologie, riferiscono gli autori, consente oggi di affermare che la percentuale di rischio di non trasferire un embrione che sarebbe stato idoneo raggiunge lo 0%. In più, il valore predittivo sulle chances di impianto sono al 65%. Viene confermato dunque quanto osservato nel 2012, dimostrando che effettuare una biopsia allo stadio di blastocisti con le tecniche attuali limita al massimo i rischi intrinseci della procedura, oltre a migliorare i risultati relativi alle possibilità di impianto, senza ‘perdere’ embrioni idonei.