Sindrome dell’ovaio policistico: una definizione dai connotati eccessivamente negativi. Sarebbe meglio chiamare questa condizione ‘ovaio polifollicolare’ per tranquillizzare le donne che ne sono affette.
Lo sottolinea Gianluca Gennarelli, ginecologo consulente del centro Livet GeneraLife di Torino, che da molti anni si dedica allo studio e alla cura della PCOS. “Questo termine – ricorda – fu coniato nel 1935 da due studiosi nordamericani i quali non avevano cognizione che quelle che vedevano in eccesso fossero in realtà unità funzionali (follicoli), e non trovarono di meglio che definirle ‘cisti’. La comunità scientifica, pur sapendo da tempo come stanno le cose, non prende in considerazione la possibilità di modificare la definizione in ‘polifollicolare’. Probabilmente un errore”.
Questo perché “avere un ovaio molto ricco di follicoli, voluminoso – aggiunge Gennarelli – non dovrebbe essere uno svantaggio, visto che grazie a esso è possibile recuperare più ovociti quando si ricorre alla fecondazione in vitro. Inoltre, le donne con un ovaio molto ricco vanno in genere in menopausa più tardi. Ai fini della procreazione medicalmente assistita, dunque, è molto peggio avere un ovaio con pochi follicoli e cicli regolarissimi di 24 giorni, perché questo segnala che la riserva ovarica è ridotta”.
Il dr. Gennarelli aggiunge: “Più un ovaio è ricco di follicoli, più i cicli tendono ad allungarsi, diventando di 30, 35, 40 giorni. Per pura convenzione si parla di oligomenorrea (che si vuole considerare uno stato patologico). Ecco che ovaio PCO + oligomenorrea si uniscono e creano la ‘sindrome PCOS’. Se poi ci si aggiunge un lieve iperandrogenismo (i follicoli piccoli producono più androgeni) si considera una ‘full-blown syndrome PCOS’. Ma in questo modo si etichetta una donna e le si trasmette non poca ansia, magari dicendole anche che non potrà avere figli. In realtà non c’è differenza in termini di salute nell’ovulare 6 volte l’anno invece di 11-12. Certo, diminuiscono le possibilità di gravidanza, statisticamente”. Nulla su cui sia impossibile intervenire, dice il ginecologo, anche quando la donna è in amenorrea per mesi: “Basta usare semplici farmaci induttori dell’ovulazione e spesso il gioco è fatto (vedi il caso molto pubblicizzato di Victoria Beckham). In pratica, le donne con PCOS hanno lo stesso numero di figli delle altre, ma ricorrono più frequentemente all’aiuto di un medico per concepire.
D’altra parte se il ‘fenotipo PCOS’ fosse sterile, esso si estinguerebbe in una-due generazioni. Invece è costantemente rappresentato in ogni etnia, da sempre”.
C’è però una cosa che può drammaticamente peggiorare il quadro: il sovrappeso. “Per motivi non ancora chiari – evidenzia Gennarelli – se una donna anovulatoria aumenta di peso, centralizza il grasso a livello tronco-addominale. E’ noto che quel grasso è metabolicamente attivo e correlato a problemi di diabete e incidenti cardiovascolari. Soprattutto esso si correla ad un aumento significativo della produzione di insulina, l’ormone anabolizzante più potente. Ingrassando tutto peggiora, dalla frequenza delle ovulazioni, all’intensità dell’iperandrogenismo, alla difficoltà di indurre l’ovulazione farmacologicamente (ci sono casi davvero difficili), dall’appetito sempre più spinto, al peggioramento dell’autostima e del benessere psicologico”. In tutti i casi di PCOS, dunque, è consigliabile affiancare un piano nutrizionale studiato che possa ristabilire il peso forma, ridurre il tessuto adiposo metabolicamente più attivo e, soprattutto, tutelare la salute della paziente alla ricerca di una gravidanza.