di Elisabetta Trabucco
L’infertilità è considerata una “variabile imprevista” nel ciclo di vita della famiglia ed è un evento che comporta la riorganizzazione degli equilibri.
Gli psicologi ci hanno insegnato che la diagnosi d’infertilità, spesso pronunciata senza la dovuta cautela, ha un peso specifico considerevole per la coppia facendola entrare in contatto con la dimensione della perdita, perché mette in crisi una funzione considerata fondamentale quella generativa, intesa come la capacità di dar vita a qualsiasi progetto condiviso dalla coppia stessa.
Purtroppo leggo tutti i giorni (e da anni) sconforto e disorientamento negli occhi di donne e uomini che avvio ad un percorso di procreazione assistita e che si confrontano con liste interminabili di accertamenti medici, metodologie invasive, successi mai garantiti, violazioni della privacy. Inoltre la fatica che si prova a condividere questa frustazione con parenti e amici fa sprofondare di solito la coppia anche in uno stato d’isolamento sociale.
Come si comporta la coppia e il medico che li segue in questo percorso?
In questo isolamento la coppia può adattarsi al nuovo stato con strategie differenti in quanto i due partner partecipano al problema con una diversa sensibilità, un diverso vissuto e una diversa percezione della situazione.
I due partner possono innanzitutto avere visioni diverse su quale soluzione adottare, ad esempio se intraprendere o no dei trattamenti, su quante possibilità “concedere” agli stessi e su quale scelta alternativa formulare; pertanto il medico o l’equipe medica devono accogliere le voci di entrambi e indirizzare la coppia in una scelta il più possibile condivisa rispetto alla strategia terapeutica da mettere in atto.
Capita piuttosto frequentemente di avere uomini poco presenti durante le visite e l’impressione è che siano distanti emotivamente e concentrati di più sugli aspetti pratici del problema; in verità si difendono sopprimendo la rabbia e il dolore più delle loro compagne. Questo spesso può dare l’impressione alla donna che essi siano meno coinvolti nel problema. Le donne a loro volta possono esprimere la loro sofferenza ancora più forte, chiedendo aiuto, in un modo che fa sentire il loro compagno impotente. Questa impotenza che può fare chiudere l’uomo in se stesso con il suo dolore, facendo sentire la compagna ancora più abbandonata. Il senso di colpa e di impotenza degli uomini può essere aumentato dal fatto che durante i trattamenti, dopo la prima raccolta del seme, il corpo della donna sia l’unico coinvolto e l’unico a subire lo stress delle terapie; quindi l’uomo sente di essere confinato ad un ruolo marginale rispetto alla compagna.
L’importanza della condivisione del percorso
Solo la vicinanza nel percorso permette di condividere la sofferenza anche nella diversità, di affrontarsi, consolarsi e trovare soluzioni di comune accordo a questo problema.
Quando questo accade può essere un’esperienza emotivamente arricchente per la coppia, che si sentirà più solida e più in grado di affrontare con responsabilità reciproca le sfide della vita, permettendo ai partner di esplorare e condividere un’intimità più profonda e quindi la coppia ne uscirà rafforzata qualunque sia il risultato finale del percorso di fecondazione assistita; infatti se il desiderio del figlio non dovesse essere coronato dal successo, sarà più facile scegliere insieme un nuovo progetto generativo su cui reinvestire.