Quando ci si sottopone a un ciclo di fecondazione assistita e si hanno a disposizione più embrioni, che si sono formati dopo la procedura, spesso si pensa che possa essere una scelta ottimale quella di trasferirne due o addirittura tre nell’utero della donna, con l’obiettivo di vederne attecchire almeno uno.
Questa era una pratica diffusa fino a qualche anno fa: oggi le tecnologie a disposizione dei centri di Pma più avanzati consentono di studiare l’embrione in maniera approfondita e di conoscerne lo stato di salute, dando la possibilità di capire quale sia quello più idoneo per il transfer ed evitando così il rischio di una gravidanza gemellare. Quest’ultima è il più importante fattore di rischio collegato ai trattamenti di Pma (aumenta infatti il rischio di parto pre-termine, di vedere nascere bambini sottopeso, oltre ai rischi insiti durante i 9 mesi di gestazione).
Per ogni coppia devono quindi essere definite specifiche politiche di trasferimento embrionale, finalizzate all’identificazione del momento più idoneo per il transfer e alla scelta dell’embrione con maggiori probabilità di impianto.
I dati confermano che in questo modo si possono migliorare di molto i risultati anche dal punto di vista ostetrico. Ecco perché i centri più avanzati oggi adottano sistematicamente politiche di trasferimento di un singolo embrione alla volta al fine di minimizzare i rischi legati all’insorgenza di gravidanze multiple.
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